C’è un “Pnrr privato” di Banca Intesa, ma le imprese non chiedono prestiti

Uno legge il titolo – “Nuovo accordo tra Confindustria e Intesa Sanpaolo: 200 miliardi di euro per la crescita delle imprese italiane” – e può anche capire male. Non è che Intesa dà 200 miliardi alla Confindustria. No! Semplicemente, la più grande banca italiana – e prima in Europa per valore di Borsa – rinnova […] L'articolo C’è un “Pnrr privato” di Banca Intesa, ma le imprese non chiedono prestiti proviene da Economy Magazine.

Gen 15, 2025 - 02:54
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C’è un “Pnrr privato” di Banca Intesa, ma le imprese non chiedono prestiti

Uno legge il titolo – “Nuovo accordo tra Confindustria e Intesa Sanpaolo: 200 miliardi di euro per la crescita delle imprese italiane” – e può anche capire male. Non è che Intesa dà 200 miliardi alla Confindustria. No! Semplicemente, la più grande banca italiana – e prima in Europa per valore di Borsa – rinnova anche quest’anno (dal 2009!) una specie di accordo di promozione con la più importante associazione di imprese, appunto la Confindustria. Un accordo per far sapere alle imprese associate due cose che possono sembrare ovvie ma non lo sono (e che d’altronde possono anche sembrare miracolose e lo sono ancora di meno):

  • La banca ha ampiamente a disposizione nel suo bilancio i soldi e i parametri patrimoniali e “regolatori” necessari per erogare fino a 200 miliardi di credito alle imprese, che è tanta roba: più o meno quanto il Pnrr dello Stato. Ovviamente sarebbero prestiti da ripagare e restituire, ma ci sono;
  • Nel valutare le richieste di finanziamento, la banca sarà particolarmente attenta e attiva nei confronti di progetti d’investimento 5,0, RePowerEu, transizione sostenibile ed economia circolare, aerospazio, robotica, intelligenza artificiale e scienze della vita, start up e Pmi innovative, rafforzamento patrimoniale e finanziario, abitare sostenibile, crescita delle imprese del Sud con la Zes Unica… e insomma, praticamente di tutto.

Ma se uno vuole aprire una pizzeria, neanche particolarmente sostenibile, lo finanziano o no? Certo che sì, come in tutti gli altri casi, purchè dia le garanzie necessarie.

Ma allora cosa c’è di particolare?

Due messaggi, che non vanno definiti “politici” perché Carlo Messina, il potente capo della banca, si tiene opportunamente fuori dalla mischia politica ma sono – come dire – valoriali:

  • Non si dica che la banca più grande d’Italia (e quindi un po’ tutte le banche sane) non finanziano le imprese, o che le imprese non chiedono finanziamenti a causa di una specie di avarizia da parte delle banche; nossignore, i soldi ci sono e Intesa, come dire…li sbandiera;
  • Le imprese hanno drammaticamente ridotto i loro investimenti. E qui più di tanto nè Messina né il presidente di Confundustria Emanuele Orsini, che ha condiviso la conferenza stampa di presentazione dell’accordo, vogliono mettere il sale sulla ferita. Ma i numeri sono quelli: il “cavallo” dell’impresa non beve credito. Dalla seconda metà del 2023 ha quasi smesso. Sarà stata la paura della guerra; il costo del denaro; l’attesa messianica di chissà quale risolutiva diavoleria offerta dall’intellifgenza artificiale, sta di fatto che troppe imprese attendono qualcosa che non si sa cos’è, se arriverà e quando.

E dunque Intesa e Confindustria dichiarano: noi qua stiamo, la banca ha i soldi e ve li vuol dare, Confidustria raccomanda ai suoi 140 mila associati di prenderli e poi… poi non succede niente.

C’è di mezzo qualche piccolo problema: il fattore Italia. Troppe tasse da parte di un fisco sempre vessatorio, caro energia da capogiro, malagiustizia irriformabile (altro che separazione della carriere, servirebbe ben altro) poche competenze, poco personale… Per investire ci vuole un fisico bestiale.

E dunque, speriamo: un Paese che non investe, muore.

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