Spreco alimentare: l’Italia non migliora, anzi peggiora
Sprechiamo troppo cibo. I numeri purtroppo confermano un dato in aumento nel nostro Paese. Secondo il Rapporto Internazionale Waste Watcher 2024 ogni settimana finiscono nel bidone della spazzatura ben 683,3 grammi di cibo a testa rispetto ai 469,4 grammi rilevati nell’agosto 2023, un dato quasi raddoppiato visto che risulta in crescita di ben il 45,6%. E pensare che per produrre la frutta, la verdura, la carne, il latte e il pane, che poi vengono buttati via, vengono sfruttati e consumati 1,982 milioni di ettari di superficie agricola, una distesa di suolo e terra agricola equivalente all’intera Lituania o alla superficie combinata di Emilia-Romagna e Piemonte. Gli alimenti più sprecati sono frutta fresca (27,1 g), verdure (24,6 g), pane fresco (24,1 g), insalate (22,3 g), cipolle/aglio/tuberi (20 g). Per quanto riguarda la geografia nazionale emerge che il Sud e il Centro sono le aree dove lo spreco è maggiore con un +9% rispetto alla media nazionale, mentre il Nord è relativamente più virtuoso con un -11% sempre rispetto alla media nazionale. Sprecano maggiormente le famiglie senza figli (+6 per cento) rispetto a quelle con figli (-17 per cento) e i comuni medio-grandi rispetto ai piccoli. Le cause dello spreco Le motivazioni che stanno alla base dello spreco alimentare sono molteplici. Alcune riguardano il comportamento dei singoli consumatori visto che più di un terzo degli italiani dimentica gli alimenti in frigorifero e nella dispensa lasciando che si deteriorino; molti temono di non avere in casa cibo a sufficienza e quindi continuano a comprare senza consumare i cibi già in casa e il 75% non è disposto o non è capace di rielaborare gli avanzi in modo creativo per evitare di gettarli. Lo spreco però non dipende solo da noi: abbiamo meno denaro e quindi compriamo cibo di bassa qualità che poi si deteriora in pochissimo tempo. Il 42 per cento degli intervistati individua la causa dello spreco nel fatto di dover buttare la frutta e la verdura conservata nelle celle frigo perché una volta portata a casa si deteriora in fretta, mentre il 37 per cento sostiene di gettare il cibo perché gli alimenti vengono venduti già deteriorati. «In Italia l’incremento dello spreco alimentare a livello domestico è preoccupante – spiega Andrea Segrè, direttore scientifico Waste Watcher International – Campagna Spreco Zero dell’Università di Bologna. – Non solo per l’aumento percentuale rispetto all’analoga rilevazione di WWI del 2023, ma soprattutto dalle cause che lo hanno determinato, come un abbassamento della qualità dei prodotti acquistati. Gli italiani hanno ancora poca consapevolezza di come fruire al meglio gli alimenti disponibili, dalla conservazione alla pianificazione degli acquisti, dimostrando ancora una volta la necessità di intervenire a livello istituzionale sull’educazione alimentare». Il confronto con gli altri Paesi Dal rapporto emerge una situazione variegata: i Paesi che spiccano per percentuali di spreco molto basse sono Giappone e Francia, ma per motivi diversi. Se in Giappone non si spreca è anzitutto perché il costo di frutta e verdura è elevato, sono prodotti di qualità, che quindi hanno una lunga durata. I francesi mostrano particolare attenzione a consumare tutto il cibo cucinato, anche quando è troppo e a mangiare tutti gli avanzi. Inoltre, diversi iniziative istituzionali, come la legge Garot del 2016 che ha vietato ai supermercati di distruggere il cibo invenduto, aumentando significativamente le donazioni alimentari che hanno contribuito a diminuire lo spreco. In Canada, che è invece uno dei Paesi con la percentuale più alta di spreco alimentare, il governo ha pensato a incentivi fiscali per aumentare le donazioni di cibo in eccedenza e avviato politiche incisive di educazione alimentare per i consumatori. Il Regno Unito è storicamente uno dei Paesi dove l’attenzione privata e pubblica verso il problema degli sprechi alimentari è maggiore: si pianifica la spesa, si promuovo gli accordi che coinvolgono gli attori della filiera agro-alimentare e si investe sull’educazione alimentare. In Germania le famiglie riducono lo spreco organizzando dispensa e freezer, sapendo esattamente cosa c’è nella dispensa e valutando attentamente quanto cucinare. Spreco alimentare tra le principali cause del cambiamento climatico Secondo le stime fornite dal Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP) in un report dedicato nel 2021 lo spreco alimentare è associato a una quota di emissioni di gas serra compresa tra l’8 e il 10% a livello globale. In Europa, inoltre, emissioni equivalenti a 86 milioni di tonnellate di anidride carbonica possono essere attribuite ogni anno agli sprechi alimentari: si tratta del 15% dell’impatto di tutta la filiera alimentare, secondo i dati pubblicati dal WWF nel settembre del 2022. Lo spreco alimentare, inoltre, contribuisce anche perdita di risorse naturali come l’acqua. Per tutte queste ragioni l’Unione europea, insiemi agli Stati membri, si è impegnata a dimezzare lo
Sprechiamo troppo cibo. I numeri purtroppo confermano un dato in aumento nel nostro Paese. Secondo il Rapporto Internazionale Waste Watcher 2024 ogni settimana finiscono nel bidone della spazzatura ben 683,3 grammi di cibo a testa rispetto ai 469,4 grammi rilevati nell’agosto 2023, un dato quasi raddoppiato visto che risulta in crescita di ben il 45,6%.
E pensare che per produrre la frutta, la verdura, la carne, il latte e il pane, che poi vengono buttati via, vengono sfruttati e consumati 1,982 milioni di ettari di superficie agricola, una distesa di suolo e terra agricola equivalente all’intera Lituania o alla superficie combinata di Emilia-Romagna e Piemonte.
Gli alimenti più sprecati sono frutta fresca (27,1 g), verdure (24,6 g), pane fresco (24,1 g), insalate (22,3 g), cipolle/aglio/tuberi (20 g). Per quanto riguarda la geografia nazionale emerge che il Sud e il Centro sono le aree dove lo spreco è maggiore con un +9% rispetto alla media nazionale, mentre il Nord è relativamente più virtuoso con un -11% sempre rispetto alla media nazionale. Sprecano maggiormente le famiglie senza figli (+6 per cento) rispetto a quelle con figli (-17 per cento) e i comuni medio-grandi rispetto ai piccoli.
Le cause dello spreco
Le motivazioni che stanno alla base dello spreco alimentare sono molteplici. Alcune riguardano il comportamento dei singoli consumatori visto che più di un terzo degli italiani dimentica gli alimenti in frigorifero e nella dispensa lasciando che si deteriorino; molti temono di non avere in casa cibo a sufficienza e quindi continuano a comprare senza consumare i cibi già in casa e il 75% non è disposto o non è capace di rielaborare gli avanzi in modo creativo per evitare di gettarli.
Lo spreco però non dipende solo da noi: abbiamo meno denaro e quindi compriamo cibo di bassa qualità che poi si deteriora in pochissimo tempo. Il 42 per cento degli intervistati individua la causa dello spreco nel fatto di dover buttare la frutta e la verdura conservata nelle celle frigo perché una volta portata a casa si deteriora in fretta, mentre il 37 per cento sostiene di gettare il cibo perché gli alimenti vengono venduti già deteriorati.
«In Italia l’incremento dello spreco alimentare a livello domestico è preoccupante – spiega Andrea Segrè, direttore scientifico Waste Watcher International – Campagna Spreco Zero dell’Università di Bologna. – Non solo per l’aumento percentuale rispetto all’analoga rilevazione di WWI del 2023, ma soprattutto dalle cause che lo hanno determinato, come un abbassamento della qualità dei prodotti acquistati. Gli italiani hanno ancora poca consapevolezza di come fruire al meglio gli alimenti disponibili, dalla conservazione alla pianificazione degli acquisti, dimostrando ancora una volta la necessità di intervenire a livello istituzionale sull’educazione alimentare».
Il confronto con gli altri Paesi
Dal rapporto emerge una situazione variegata: i Paesi che spiccano per percentuali di spreco molto basse sono Giappone e Francia, ma per motivi diversi. Se in Giappone non si spreca è anzitutto perché il costo di frutta e verdura è elevato, sono prodotti di qualità, che quindi hanno una lunga durata. I francesi mostrano particolare attenzione a consumare tutto il cibo cucinato, anche quando è troppo e a mangiare tutti gli avanzi. Inoltre, diversi iniziative istituzionali, come la legge Garot del 2016 che ha vietato ai supermercati di distruggere il cibo invenduto, aumentando significativamente le donazioni alimentari che hanno contribuito a diminuire lo spreco.
In Canada, che è invece uno dei Paesi con la percentuale più alta di spreco alimentare, il governo ha pensato a incentivi fiscali per aumentare le donazioni di cibo in eccedenza e avviato politiche incisive di educazione alimentare per i consumatori.
Il Regno Unito è storicamente uno dei Paesi dove l’attenzione privata e pubblica verso il problema degli sprechi alimentari è maggiore: si pianifica la spesa, si promuovo gli accordi che coinvolgono gli attori della filiera agro-alimentare e si investe sull’educazione alimentare. In Germania le famiglie riducono lo spreco organizzando dispensa e freezer, sapendo esattamente cosa c’è nella dispensa e valutando attentamente quanto cucinare.
Spreco alimentare tra le principali cause del cambiamento climatico
Secondo le stime fornite dal Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP) in un report dedicato nel 2021 lo spreco alimentare è associato a una quota di emissioni di gas serra compresa tra l’8 e il 10% a livello globale. In Europa, inoltre, emissioni equivalenti a 86 milioni di tonnellate di anidride carbonica possono essere attribuite ogni anno agli sprechi alimentari: si tratta del 15% dell’impatto di tutta la filiera alimentare, secondo i dati pubblicati dal WWF nel settembre del 2022. Lo spreco alimentare, inoltre, contribuisce anche perdita di risorse naturali come l’acqua.
Per tutte queste ragioni l’Unione europea, insiemi agli Stati membri, si è impegnata a dimezzare lo spreco alimentare entro il 2030, individuando alcune azioni prioritarie: la prevenzione, così da evitare che cil cibo venga perso o sprecato; il riuso, attraverso la redistribuzione di alimenti presso strutture dedicate o tramite l’utilizzo per scopi di allevamento; il riciclo, per recuperare parte del cibo come concimi; il recupero, tramite l’incenerimento per generare energia.
Quando un alimento acquistato va davvero buttato via
Su tutte le confezioni di cibo che compriamo nei supermercati viene indicata una data di scadenza con la dicitura “da consumare entro”. In realtà spesso è più corretto parlare di termine minimo di conservazione (TMC), che indica il limite temporale entro cui ogni prodotto mantiene intatte le sue caratteristiche, sempre che venga conservato correttamente.
Altroconsumo ha messo a punto una guida con tutti i principali alimenti ed ha indicato per ognuno come comportarsi riguardo al termine minimo di conservazione.
La data di scadenza di riso e pasta, essendo prodotti secchi, non deve spaventare. Possono essere cucinati anche a circa uno o due mesi dalla scadenza, purché non siano infestati da parassiti. Meglio conservarli in barattoli ermetici. Lo stesso vale per farine, crackers e biscotti.
Siccome sono stati sottoposti a un processo di sterilizzazione, i prodotti in scatola possono essere mangiati anche a 12 mesi dal TMC, facendo però occhio a eventuali ammaccature o bombature delle lattine.
I formaggi stagionati vanno chiaramente tenuti in frigo, dove però durano anche alcune settimane. Nel caso in cui si noti la presenza di muffa basterà rimuoverla. Vanno invece usati entro la scadenza quelli freschi.
Il pesce fresco è da tenere nel posto più freddo del frigo e va consumato entro uno o due giorni. Quello affumicato dura solitamente tre settimane quando è chiuso, due giorni quando è già stato aperto.
La carne macinata va cotta entro 24 ore dall’acquisto. La carne a fettine andrebbe consumata entro un paio di giorni.
Per la frutta dipende dalla singola varieta. Mai andare oltre la scadenza per le uova.
Lo yogurt di solito può essere consumato anche qualche giorno dopo il TMC. Da non fare se il tappo è rigonfio (anche prima della scadenza). Il latte fresco va consumato entro la scadenza.
Per l’olio si consiglia invece di rispettare la data riportata sulla bottiglia, per non utilizzare un prodotto rancido. Si mantiene meglio se conservato al buio.
Le spezie possono essere utilizzate anche a distanza di mesi dal TMC, tenendo conto che con il passare del tempo diminuirà il loro aroma e il loro sapore.
Il miele è tra gli alimenti più longevi. Spesso si pensa che quando si cristallizza sia da buttare, ma in realtà basta scaldarlo a bagnomaria per farlo tornare liquido.
Le marmellate in barattolo chiuso durano circa due anni. Ovviamente, se aperte, vanno poi tenute in frigo. Se c’è muffa vanno buttate.
Sale e zucchero non si deteriorano.
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