Cala ancora la produzione tre imprese su 10 vedono nero
L’economia italiana scricchiola. Le imprese sono preoccupate per il futuro. E il 30% tra loro, segnala Bankitalia nell’indagine sulle aspettative di inflazione e crescita relativa al quarto trimestre 2024, esprime giudizi negativi sulla situazione generale del Paese. Percentuale che ha fatto un bel balzo, dal 21% della precedente indagine. Il deterioramento delle prospettive dei nostri […] L'articolo Cala ancora la produzione tre imprese su 10 vedono nero proviene da Iusletter.
L’economia italiana scricchiola. Le imprese sono preoccupate per il futuro. E il 30% tra loro, segnala Bankitalia nell’indagine sulle aspettative di inflazione e crescita relativa al quarto trimestre 2024, esprime giudizi negativi sulla situazione generale del Paese. Percentuale che ha fatto un bel balzo, dal 21% della precedente indagine. Il deterioramento delle prospettive dei nostri imprenditori risulta spalmato in tutti i settori. E non solo nella manifattura, quasi travolta ormai da una crisi strutturale. La produzione industriale, ufficializza Istat, cala da 22 mesi. Il timido rialzo mensile, a novembre su ottobre (+0,3%), non cancella il persistente dato negativo annuale (-1,5%).
Fattori che dovrebbero preoccupare la politica. Il governo sembra però incline a festeggiare il “tesoretto” lasciato in eredità da uno spread più basso di quanto prevedeva il Documento di economia e finanza varato lo scorso 9 aprile. In apertura del Consiglio dei ministri di ieri, la premier Giorgia Meloni ha ufficializzato quanto calcolato un mese fa dall’Ufficio parlamentare di bilancio: «Nel biennio 2025-2026 risparmieremo 10,4 miliardi e diventano 21 considerando anche il 2027 per i minori interessi da sostenere sui nostri titoli di Stato». Una «buona notizia» di cui essere «fieri» perché, prosegue Meloni, «i miliardi risparmiati sono miliardi in più da spendere nella sanità, nella scuola, nel sostegno dei redditi più bassi, nel taglio delle tasse, negli investimenti nelle infrastrutture».
L’indagine di Bankitalia sembra spegnere gli entusiasmi. Solo il 6% delle imprese italiane vede miglioramenti nell’economia. Le vendite, soprattutto all’estero, calano. I dazi minacciati dal presidente eletto Donald Trump e ora pure l’euro debole, quasi sulla parità col dollaro (ieri a 1,0297), non promettono niente di buono. Anzi tutte le importazioni dagli Stati Uniti potrebbero diventare più care, a partire dal gas liquido che serve per diversificare la nostra bolletta energetica. Pessima notizia per le industrie e anche le famiglie.
La stessa occupazione, celebrata in ogni occasione dal governo, mostra segnali preoccupanti. Li ha messi in fila ieri il presidente dell’Inapp, l’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche, Natale Forlani presentando alla Camera il Rapporto Inapp 2024. Se nel post Covid, tra dicembre 2019 e dicembre 2023, gli occupati sono cresciuti di un milione (metà uomini e metà donne) bilanciando la discesa di un milione di disoccupati, all’Italia mancano ancora 3,2 milioni di occupati per raggiungere la media Ue. Soprattutto nei settori pubblici che hanno più bisogno: scuola, sanità, assistenza, pubblica amministrazione. E soprattutto al Sud, tra i giovani e le donne. Perché Nord e Centro sono già allineati alle medie europee. E spesso fanno anche meglio.
Ecco l’Italia a due velocità. Un’Italia che invecchia: tra 15 anni, nel 2040 avremo 4 milioni di persone in età da lavoro in meno. Un’Italia che celebra un tasso di occupazione (62,5%) e di disoccupazione (5,7%) entrambi da record – «il più basso della nostra storia», si rallegrava ieri la ministra del Lavoro Marina Calderone – ma che deve ammettere di creare occupazione soprattutto tra gli over 50.Quel milione in più di occupati «si concentra nella coorte dei lavoratori over 50, diventata negli ultimi due anni la componente più numerosa dei lavoratori, superando quella tra 35 e 49 anni», dice Forlani. Che ricorda poi l’altro grande elemento di fragilità tutto italiano. Il record ignorato degli inattivi – persone in età di lavoro che non lo cercano – saliti «al 33,6% della forza lavoro con un picco del 58,2% per le donne del Mezzogiorno ». Donne che nel 18% delle uscite lavorative e nel 40% delle dimissioni volontarie lasciano il posto per la «mancata disponibilità dei servizi di cura per i figli e gli anziani », dice Inapp. Dietro i numeri, tanto ancora da fare.
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